Uno studio internazionale, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature e coordinato dall’Università di Tartu (Estonia), ha rivelato un fenomeno preoccupante: nelle regioni più disturbate dall’attività umana, molte specie vegetali autoctone sono scomparse dai loro habitat naturali. Questo contribuisce alla perdita della cosiddetta “diversità oscura”, un concetto che descrive le specie potenzialmente adatte a un determinato ambiente ma che, di fatto, risultano assenti.
La ricerca è stata condotta dalla rete DarkDivNet, una collaborazione scientifica che coinvolge oltre 200 botanici di tutto il mondo. Gli esperti hanno analizzato la flora di quasi 5500 siti distribuiti in 119 regioni, registrando sia le specie effettivamente presenti sia quelle che, secondo i modelli ecologici, dovrebbero esserci ma non vengono rilevate.
L’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nello studio grazie all’Università di Cagliari, che ha contribuito significativamente alla raccolta e all’analisi dei dati. In particolare, la Sardegna è stata inclusa nel progetto grazie al lavoro di Michela Marignani, docente di Botanica Ambientale presso l’Università di Cagliari, in collaborazione con Leonardo Rosati dell’Università della Basilicata. La ricerca si è svolta nelle macchie e nei boschi del Sulcis, con il supporto dell’Agenzia Forestas, che gestisce gran parte dei territori studiati.
I risultati dello studio mostrano una tendenza allarmante: nelle aree meno influenzate dall’attività umana, oltre un terzo delle specie vegetali potenzialmente adatte è effettivamente presente. Tuttavia, nelle regioni più modificate dall’uomo, questa percentuale scende drasticamente a una su cinque.
Un dato significativo emerge dall’Human Footprint Index, un indicatore che misura l’impatto umano sul territorio considerando fattori come urbanizzazione, infrastrutture e sfruttamento del suolo. I ricercatori hanno scoperto che l’effetto negativo dell’attività umana si estende anche all’interno delle aree protette, mettendo in discussione l’efficacia delle attuali strategie di conservazione.
Questo studio sottolinea la necessità di un approccio alla tutela della biodiversità che vada oltre i confini delle riserve naturali. Gli autori suggeriscono che le politiche di conservazione dovrebbero includere interventi mirati anche nelle aree circostanti, per garantire la sopravvivenza delle specie autoctone e contrastare la perdita silenziosa della diversità vegetale.
La ricerca sulla diversità oscura apre nuove prospettive per la gestione ambientale, evidenziando che la protezione della biodiversità non può limitarsi alla sola presenza di aree protette, ma deve considerare l’intero contesto ecologico in cui queste si inseriscono.

Lo studio pubblicato sulla rivista Nature, è disponibile al seguente link: